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Problemi e riflessioni (a cura di Francesca Rinaldi) . Anno I, n° 4 - Dicembre 2007

Zoom immagine Le voci non domate
delle nordirlandesi
sulle tragiche strade
della bella Belfast

di Ennio Masneri
Ecco i fatti che “non fecero notizia”,
in un testo delle Edizioni Associate


Aprendo una cartina dell’Europa Settentrionale notiamo, in mezzo all’oceano Atlantico, un’isola pianeggiante e piena di laghi e di fiumi, che si staglia di fronte alle coste occidentali del Regno Unito, i cui canali chiamati “del Nord” e “di San Giorgio” formano una sorta di confine: la verde Irlanda di S. Patrizio, chiamata anche “Erin” in gaelico. Si tratta di un’isola occupata per i 4/5 circa dall’omonima Repubblica d’Irlanda (o Eire) con capitale la bella città di Dublino. Il restante, la punta nord-orientale dell’isola, è occupato dall’Ulster, diviso politicamente e storicamente in due parti: quella formata da 3 contee e appartenente all’Eire e quella regione del Regno Unito costituita da 26 distretti, con capitale Belfast, che risponde al nome di Irlanda del Nord.

Noi tutti sappiamo ormai che questo territorio, per lo più collinoso e ricco di laghi, è tristemente noto soltanto per la guerra che dal 1969 divise le comunità cattoliche da quelle protestanti.

Ma nulla dev’essere dimenticato, né nascosto tra le carte di compiacenti funzionari, di quegli anni terribili che portarono alla rovina, alla tortura e alla morte, anche persone che avevano il torto di appartenere ad un diverso credo religioso, pur appartenendo alla stessa cristianità dei loro stessi carnefici.

Furono guerre fratricide che si combatterono anche all’interno dei quartieri, tra vicini, tra manifestanti irlandesi e poliziotti e soldati irlandesi e inglesi.

 

Il conflitto nord-irlandese

Scoppiato nel 1969, il conflitto, erroneamente presentato come “guerra civile” o “di religione”, in realtà era di natura politica e aveva alle spalle una storia secolare.

La contesa ebbe numerosi protagonisti e numerosi gruppi paramilitari, terroristici, dall’una e dall’altra parte. Molti di questi personaggi, inclusi i civili, trovarono la morte. Altri, invece, si salvarono ma portarono, e portano tuttora, in cuore e in mente, i ricordi di quegli anni difficili. Non erano guerre di religione, ma una sorta di guerre d’indipendenza con la differenza sostanziale che furono combattute all’interno dei paesi (come dimenticare le pallottole di plastica, i fucili puntati contro i bambini, i pestaggi sui civili, in nome di un inutile odio secolare?) e con attentati e omicidi anziché in campo aperto, fuori dai luoghi civili e lontano dagli occhi dei bambini. Adesso non ci sono né vincitori né vinti. L’Irlanda del Nord è ancora una provincia del Regno Unito.

In questo contesto elencheremo soprattutto i protagonisti più importanti.

Da una parte c’erano i “Nazionalisti” cattolici che volevano l’abolizione dei confini e la riunificazione con la Repubblica d’Irlanda (l’Eire) per avere un’unica nazione, un’unica isola, e la fine del dominio britannico e perseguivano questo desiderio con la diplomazia e il rifiuto dell’uso della violenza. Altri irlandesi, invece, prospettavano quella stessa riunificazione con l’uso della forza ed erano i “Repubblicani” – l’Ira è, infatti, la sigla dell’esercito repubblicano irlandese, un’organizzazione armata clandestina fondata nel 1919 che, dopo numerosi attentati mortali, sospese ogni attività militare in seguito ai negoziati del 1994 per la pace dell’Ulster. Dall’altra parte c’erano gli “Unionisti” protestanti che sostenevano l’unione delle contee dell’Irlanda del Nord con la Gran Bretagna e la fedeltà alla Corona inglese. Anche questi predicavano la diplomazia e la moderazione. La parte armata, invece, era costituita dai “lealisti” che predicavano l’uso della forza da parte di gruppi paramilitari per la difesa dell’unione con la Gran Bretagna. Non si contano le vittime (per la stragrande maggioranza cattoliche) dei “lealisti”. Secondo alcuni calcoli questi gruppi, divisi in varie sigle, fecero più vittime dell’Ira. Anche l’ordine d’Orange (un’organizzazione politico-religiosa modellata sulla massoneria e fondata nel 1795 da anglicani) era contro ogni tentativo di riunificazione con l’Eire e predicava la difesa della supremazia protestante e del mantenimento del legame con la Corona inglese. Fu infatti uno degli elementi portanti della fondazione dello stato dell’Irlanda del Nord fin dalla sua nascita nel 1921. Ne fecero e ne fanno parte molti esponenti politici unionisti e poliziotti irlandesi. Famosi furono i loro “pogrom” (attacchi violenti contro l’inerme popolazione nazionalista, dopo le parate commemorative dell’ordine).

Dopo i fatti sanguinosi degli anni Settanta e Ottanta, negli anni Novanta si decise di avviare il processo di pacificazione tra le due comunità cattolica e protestante. Trattative tra il primo ministro irlandese Bertie Ahern e il premier inglese Tony Blair portarono, nella metà di marzo 1998, a uno storico accordo di pace (incluso il disarmo delle organizzazioni paramilitari e la liberazione dei miliziani detenuti) siglato dai leader delle due principali organizzazioni, e dopo l’approvazione del referendum nel maggio dello stesso anno in Ulster e nell’Irlanda, il conflitto nord-irlandese, iniziato nel 1969, cessò. Ma ancora oggi l’Ulster si trova in una situazione in bilico perché, malgrado tutti gli sforzi compiuti per raggiungere un’intesa pacifica tra le due compagini in lotta, permane un’atmosfera di ostilità reciproca. Ciò che è da secoli non è facile da estirpare…

Infatti, negli anni successivi all’accordo continuarono gli attentati a Londra e Belfast da parte sia dell’Ira che dei lealisti.

 

Un mondo fuori i mass media

Il libro di Silvia Calamati, Figlie di Erin. Voci di donne dell’Irlanda del Nord (Edizioni Associate, pp. 176, 12,00) è una voce che esce fuori dal coro. L’autrice, non vuole dimenticare né permettersi di farlo poiché tanta ferocia, tanto male, vanno testimoniati.

Le storie, qui contenute, appartengono a un arco di tempo che va dal 1990 al 1998, con un racconto sui fatti riguardanti l’arrivo dei soldati britannici nel 1969 (anno di inizio della guerra), gli arresti indiscriminati, le cariche della polizia contro i manifestanti, l’abolizione dei diritti umani negli anni Settanta e lo sciopero della fame nel carcere di Long Kesh nel 1980-81. Alcuni di questi racconti sono lettere scritte in carcere e passate clandestinamente di mano in mano a parenti per poi essere consegnate alla stampa e alla giornalista. Il materiale ottenuto venne raccolto in questo libro dopo l’attentato mortale di Rosemary Nelson – una famosa avvocatessa che lavorava per la difesa dei diritti umani, uccisa nel 1999 da una bomba messa sotto la sua auto – e le minacce di morte ricevute da Padraigín Drinan – un’altra collega della Nelson e sua continuatrice del lavoro – e fu pubblicato per la prima volta nel marzo del 2001. Le Edizioni Associate hanno fatto, negli anni seguenti, una prima ristampa nel gennaio del 2005 e una seconda nel settembre 2007.

Le figlie di Erin (che significa “terra di Ériu”, la dea-terra della verde isola) sono donne che, contro il loro stesso volere, furono testimoni di questa guerra) nata da un odio viscerale verso gli appartenenti alla Chiesa di Roma, ma, eppure, non furono guerre religiose. Nella sua bellissima Introduzione, Calamati – vincitrice nel 2002 del Premio Internazionale “Tom Cox Award” per la sua attività di giornalista e per il suo coraggioso lavoro di divulgazione della questione irlandese – descrive queste donne con una passione che la porta a convivere con loro il trauma del conflitto nord-irlandese: «Se chiudo gli occhi e penso alle donne che ho incontrato in tutti questi anni in Irlanda del Nord la prima immagine che mi viene alla mente è quella delle grigie pietre che formano i muri di cinta dei mille appezzamenti di terra di cui è costellata Inishmore, la più grande delle isole Aran. […] In un paesaggio desolato e lunare, abitato solo dal vento, dalla pioggia e dal rumore cupo delle alte onde dell’oceano, quelle pietre, alcune squadrate, altre appuntite, si stagliano tutt’intorno, sono lì da tempi immemorabili. […] Nonostante il tempo e gli implacabili agenti atmosferici quelle pietre resistono, vicino a scogliere alte centinaia di metri, a difesa del piccolo pezzo di terra che cingono. Molte donne che ho conosciuto in terra d’Irlanda sono come quelle pietre».

Il libro, la cui scrittura semplice, ma al tempo stesso coinvolgente, può rapire il lettore attento, contiene interviste trasformate in 22 racconti, suddivisi in determinati 12 capitoli, con tanto di interessanti e chiare note storiche e sociopolitiche alla fine, nonché di brevi note esplicative dei personaggi della tradizione celtica e della mitologia irlandese.

 

Perché questo libro?

La stessa giornalista risponde sul motivo di scrivere e pubblicare questo libro. «Poiché i media non ne avevano parlato [l’attentato della Nelson e le minacce di morte alla Drinan, Ndr] era come se le storie di queste donne non fossero mai accadute. È stato proprio questo che mi ha spinto a andare, letteralmente, a cercarle». E così si sentì chiamata in causa per raccontare le drammatiche vicende di queste «donne dure come le pietre delle Isole Aran». L’autrice andò in Irlanda del Nord per incontrarle, non senza difficoltà, e intervistare queste donne, che avevano in comune proprio le loro esperienze dolorose, e, in una sorta di viaggio nella memoria, raccolse le loro storie, con nomi, date, luoghi, curiosità, fatti, lotte per la difesa dei diritti umani, verità calpestate, infanzie distrutte in nome di un odio sbagliato. Un trauma che di nascosto percorse tutto l’Ulster in attesa di essere scoperto e narrato.

«Questo libro vuol cercare di riproporre il modo in cui tale trauma è stato vissuto da ognuna di loro e le conseguenze che ha avuto sulla loro vita, in una situazione di violenza già di per sé molto pesante» così afferma la giornalista.

 

Chi sono le figlie di Erin?

Sono donne «lacerate nel profondo da una guerra che ha lasciato su di loro segni indelebili di sofferenze vissute in solitudine, incertezza e paura, ma allo stesso tempo coraggiose, tenaci, pronte a osare l’impossibile per difendere ciò che è a loro più caro: la loro dignità, la propria famiglia, la comunità a cui appartengono, il diritto di vivere in un paese libero in cui non vi sia più né guerre né occupazioni militare». Non c’è stile, non c’è un dolore patetico nei racconti, ma solo la voglia di rendere testimonianza (e chiedere giustizia) di violenze, omicidi giustificati, attentati silenziosi, arresti arbitrari, repressioni da parte di soldati e poliziotti inglesi, di cui nessuno vuole vedere, né udire, né parlare. Sono fatti che magari agli occhi del mondo possono apparire come una semplice pagina di cronaca estera e, quindi, relegata nel dimenticatoio, ma che agli stessi protagonisti (stesso quartiere, paese, regione, cristianità, sangue, stesso posto in fabbrica, scuola, pub, cinema…) valgono come un qualcosa di indelebile, un qualcosa che non appare nemmeno chiaro alle vittime. Una domanda impera su tutto e tutti: perché tanto odio e tanto male? È il “perché” che esce sempre alla fine di ogni racconto. È il “perché” che si nasconde dietro gli occhi di queste donne che hanno visto mariti, figli, fratelli, morti o scomparsi in nome di una legalità che non esiste.

È la voce della disperazione di ciascuna di queste protagoniste del libro, delle figlie di Erin, che il mondo ascolta tardi perché prima non faceva notizia e veniva messa in secondo piano, neanche se le vere vittime, quelle che nessuno vede o vuole vedere da commentatore ipocrita, sono i bambini che non hanno avuto «la possibilità mentale di esprimere la propria angoscia, e rimangono muti di fronte a una violenza così diffusa». È una voce che non cessa di sperare, ma che, appunto, racconta per la speranza di un futuro diverso e migliore per i propri figli.

 

La storia e la verità come nemesi

I fatti vengono raccolti, registrati e narrati con pacatezza e con coraggio. Sono storie come le nostre, di chi non vuole nascondersi dietro a magniloquenti discorsi, ma solamente per essere testimoni fermi di quel periodo, fermi come le piccole pietre aguzze delle Isole Aran, che restano lì e resistono agli agenti atmosferici come resistono agli attentati di chi vuole far cessare, anche con il potere e la legalità, quella fastidiosa voce che desidera narrare soltanto la verità di uno scenario tra i più tristi dell’umanità del secolo passato.

È lo stile di chi, anche se ha sofferto, è stata uccisa, violentata, minacciata, messa in carcere senza una vera accusa, non vuole essere dimenticata e soprattutto far dimenticare. E Silvia Calamati ne è la portavoce storica, una delle tante nemesi mnemoniche degli aguzzini e del mutismo dei potenti. Una delle pietre aguzze contro il mare in tempesta.

Gli accordi di pace furono firmati. I rancori, non tutti, furono appianati. L’Ulster conobbe o sta ancora conoscendo la quiete dopo la tempesta. Ma le ferite restano. E resteranno per sempre come le pietre di Inishmore.

 

Ennio Masneri

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno I, n. 4, dicembre 2007)

Collaboratori di redazione:
Elisa Guglielmi, Ilenia Marrapodi
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