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Politica ed Economia (a cura di Antonella Loffredo) . Anno V, n. 45, maggio 2011

Zoom immagine Elaborazione
del consueto

di Pasquale Romano
Il modus operandi
del consumatore.
Da Edizioni lavoro


Numerose ricerche appartenenti agli ambiti d’analisi delle scienze sociali esaminano le rappresentazioni e i comportamenti presenti (e anche prodotti) nella società.

Definiti anche come “oggetti sociali”, grazie alla loro conoscenza sembra essere possibile analizzare l’uso fattone da gruppi e individui.

Un’attività produttrice di significati, rappresentata da “pratiche" o "modi di fare”; se si preferisce, essa è una fabbricazione-produzione, una “poietica”.

Uno degli interessi di questo tipo di ricerca probabilmente consiste nella natura spesso oscura di questo tipo di produzione del consumo; infatti, essa è disseminata in spazi che appartengono alla produzione mediatica (dalla televisione sino all’urbanistica e alla produzione commerciale).

LInvenzione del quotidiano (Edizioni lavoro, pp. 324, € 24,00) è un saggio di Michel de Certeau – noto studioso gesuita del XX secolo – , in cui si pone in essere l’interrogazione su un ambito particolare della ricerca sociale: ovvero sulle operazioni (culturali) da parte degli utenti che si presumono votati alla passività e alla disciplina.

 

Tecniche sottaciute di cortocircuito: viaggi dello sguardo

C’è dunque – come si può notare – un elemento del discorso di natura politica, che si manifesta nel momento in cui si riesce a vedere, nell’estensione della produzione mediatica, il totalitarismo dei sistemi stessi di produzione, manifestantesi in un tipo di lavoro di preclusione verso i consumatori.

Propriamente, è il “lavoro del consumo” dei soggetti, attività a un tempo astuta e dispersa, ma presente ovunque, sebbene silenziosa e invisibile. Essa non si presenta con propri prodotti, ma attraverso “modi di usare” i prodotti appartenenti all’ordine economico dominante, alla produzione razionalizzata dell’Occidente inteso come luogo sociopolitico.

Tuttavia, la semplice presenza e/o circolazione di una rappresentazione dice poco o nulla sul lavoro del consumatore; infatti, il saggio di de Certeau pone l’accento sui modi attraverso cui avviene la manipolazione da parte di coloro i quali la fruiscono senza per questo averla prodotta. L’obiettivo del libro, all’interno di tale orizzonte d’analisi, è valutare lo “scarto” tra produzione e consumo.

Rifacendosi a diversi riferimenti teorici, l’autore più volte rimanda al pensiero di Michel Foucault (1926-1984) per esplicitare le caratteristiche dei “modi di fare” del consumatore. In tale direzione, particolarmente utile è l’analisi dei dispositivi che hanno “vampirizzato” le istituzioni di potere, riorganizzando le procedure tecniche “minuscole” che, invece, significano sui dettagli. All’interno dello “spazio”, divenuto l’operatore di una sorveglianza generalizzata, è possibile trovare il significato politico delle pratiche di consumo.

Ri-proponendo il concetto di “microfisica del potere”, in essa dunque si favorisce l’apparato produttivo (disciplina); intesa anche come educazione, essa appare nei termini di una repressione che, tuttavia, nel retroscena, rivela le tecniche sottaciute che cortocircuitano le istituzioni e la loro messa in scena.

Tali operazioni, continua de Certeau, agiscono all’interno delle strutture tecnocratiche; non si tratta dunque di precisare come l’ordine (evidente) diventi tecnica disciplinare, ma di far emergere le forme della creatività – a un tempo dispersa e “tattica” – degli individui intrappolati nelle reti di sorveglianza. 

Il punto di partenza per analizzare l’insieme di queste pratiche che «producono senza capitalizzare», è stato individuato da de Certeau nella “lettura”, nella molteplicità di sensi con cui la società letteralmente cancerizza la vista che, d’altra parte, è la misura con cui la realtà si definisce mostrando o mostrandosi ma, soprattutto, tramuta le comunicazioni in “viaggi dello sguardo”.

 

Interpetazioni illusorie. L’uomo estraneo a se stesso, ma privo di un di fuori

Non sarebbe errato, oggi, sostituire al binomio produzione-consumo quello equivalente di scrittura-lettura. La lettura di un’immagine o di un testo sembra rappresentare l’apice della passività del consumatore, che in questa condizione-attività rivela la sua natura di voyeur della società dello spettacolo.

Ma, a ben vedere, la lettura introduce un’arte non passiva, che si rivela come innovazione infiltrata nel testo e nella tradizione. Se all’interno delle strategie della modernità vale l’equivalenza creazione come invenzione di un linguaggio proprio (culturale o scientifico), oggi il testo è imposto da una tecnocrazia produttivistica; non più opera di riferimento, la società nell’insieme diviene testo, “scrittura della legge anonima della produzione”.

Dato che un’analisi sulle forme di consumo passive – ma anche spesso inconsce – ha nello sguardo un suo elemento centrale, prendendo in considerazione per estensione il concetto di prospettiva, si rivelano altri ambiti di analisi, che non riguardano soltanto i processi effettivi di produzione, ma rimettono in gioco la posizione dell’individuo nei sistemi tecnici; all’espansione tecnocratica corrisponde la diminuzione del coinvolgimento dell’individuo; più in generale sono i rapporti che una razionalità intrattiene con un immaginario. La condizione del soggetto si rivela sempre più sottomessa e meno partecipe dei grandi sistemi; pur distaccandosene, egli non può uscirne, sicché l’azione consentita è giocare d’astuzia attraverso stratagemmi, «scoprire nella megalopoli elettronica e informatizzata l’arte dei contadini di un tempo».

L’atomizzazione sociale che ne discende è ciò che conferisce pertinenza politica al soggetto.

Eroe di tutti i giorni, l’uomo comune appartiene all’avvento del numero, della democrazia, della cibernetica, della grande città. È parte del flusso della folla, perde nome e volto divenendo linguaggio mobile di calcoli e razionalità. A questo individuo, de Certeau dedica il suo saggio.

La questione filosofica, se è vero che concerne il linguaggio, consiste nell’interrogarsi, dentro le società tecniche, sulla demarcazione fra discorsi che regolano la specializzazione e le retoriche dello scambio massificato. Ma è anche vero che l’uomo è sottomesso al linguaggio. Esistono interrogazioni vere o false? Verosimilmente esistono interpretazioni illusorie, che lasciano l’uomo estraneo presso di sé ma privo di un di fuori.

De Certeau ha sostenuto che esistono tattiche trasversali che non obbediscono alla legge del luogo. Esse non sono localizzabili come “strategie tecnocratiche” – dunque, anche, scritturali – volte a creare luoghi conformi a modelli astratti. Sono invece assimilabili a “modi di fare”, modi di uso (di ri-uso) che si moltiplicano con i fenomeni di acculturazione, attraverso spostamenti che si sostituiscono ai metodi di identificazione al luogo.

Ri-elaborazioni del consumatore che si disseminano dentro la produzione (urbanistica, commerciale, televisiva); poco visibili, ma la cui minima visibilità diventa parte dell’inquadramento e del totalitarismo. È la natura stessa della tecnocrazia ad attuare queste riconversioni.

 

L’uso, il consumo

C’è traccia del lavoro del consumo del telespettatore di fronte allo schermo televisivo? De Certeau ha sostenuto che egli è espunto dal prodotto, divenendo puro recettore, lo specchio di un attore multiforme e narcisista. Immagine di apparati che non hanno più bisogno di lui, riproduzione di una macchina celibe (Duchamp).

Eppure, a una produzione razionalizzata fa fronte una produzione diversa, il consumo, non solo caratterizzata da astuzie, ma anche da una frammentazione legata alle occasioni. Qualcuno potrebbe parlare di “volgarizzazione culturale” ma, a ben vedere, questa sarebbe solamente un aspetto caricaturale, mentre si tratterebbe della rivincita di queste “tattiche” sul potere della produzione.

Se è vero che la “razionalizzazione tecnica” opera con un gesto cartesiano, spiegherei… essa circoscrive un luogo proprio in un mondo stregato dai poteri invisibili dell’altro; gesti della modernità scientifica, politica, militare. In essa opera la distinzione tra ambiente e luogo.

Gli effetti di una tale distinzione sono non trascurabili, poiché un luogo è una vittoria dello spazio sul tempo, o meglio, una forma di controllo sul tempo. Nel medesimo senso, è un controllo sul luogo attraverso lo sguardo; infatti, grazie all’atto della suddivisione, permette una pratica “panoptica” a partire dal luogo in cui l’occhio attua l’osservazione, trasformando gli oggetti in misure, inclusioni, controlli.

Nell’insieme, questo tipo di strategie cela uno specifico sapere, la creazione di un luogo proprio, di cui il potere è la premessa.

Grazie al postulato del luogo, le strategie si configurano come azioni che elaborano luoghi teorici – sistemi e discorsi totalizzanti – il cui modello è di tipo militare, prima ancora che scientifico.

La razionalità tecnocratica in sé ha una proliferazione di manipolazioni aleatorie e incontrollabili all’interno di una rete di vincoli e sicurezze socioeconomiche. Da qui il discorso, secondo de Certeau, lentamente diventa istituzionale e repressivo.

Riprendendo Foucault, de Certeau si sofferma su alcuni aspetti caratterizzanti il pensiero del filosofo francese, in particolare laddove questi analizza il processo dei progetti riformisti iniziato nel XVIII secolo, luogo “vampirizzato” attraverso le procedure disciplinari che successivamente hanno riorganizzato lo spazio sociale. È in questo contesto che si distinguono due sistemi eterogenei: rispetto all’elaborazione di un corpus dottrinale, che rappresenta una strumentalità minore, sarebbe più proficuo dare conto dei vantaggi di una tecnologia del corpo.

Che cosa costituirebbe allora una società? Probabilmente il suo essere costituita da alcune pratiche predominanti che organizzano le sue istituzioni normative e da “altre” pratiche secondarie che organizzerebbero dei discorsi, riserva molteplice e silenziosa di procedure in cui trovare le pratiche di consumo che organizzano lo spazio come il linguaggio.

 

Conclusioni

L’Invenzione del quotidiano è un libro dedicato alle “arti del fare”, la dimensione creativa in cui trovare (o ri-trovare) il potere altro dalle forme di controllo della modernità che hanno governato il sentire della vita quotidiana.

Rappresenta la conferma che l’innovazione tecnologica segue il mutamento delle forme di vita; nei termini della “rivoluzione cibernetica” tende a de-strutturare a velocità sostenuta ogni mappa e territorio del luogo, della dimensione metropolitana. Se visto all’interno dell’ambito comunicazione – si possono trovare nella prefazione del libro preziose indicazioni a riguardo – è un testo che va oltre il povero adeguamento alle teorie degli effetti o all’analisi del contenuto della maggior parte dei comunicazionisti.

De Certeau è attento alle tattiche di sopravvivenza che i “subordinati” al potere tecnocratico mettono in atto usando “metafore dal basso”. È un pensiero tanto più utile quanto più si rivela meno utopico rispetto ad altri pensieri, specie laddove ri-negozia il senso delle innovazioni tecnologiche.

Un libro che può essere visto come il tracciato di un percorso: non dal centro della scrittura verso la periferia dei lettori, né dalla produzione al consumo. Invece, andrebbe letto come un tracciato che dalla dimensione della parola negata va verso la dimensione espressiva del “soma”. Parola negata, forse perché educata e dunque controllata; ma punto di partenza per cogliere il senso delle cose “tradotte” in linguaggio e non il loro senso storicamente e socialmente definito.

 

Pasquale Romano

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno V, n. 45, maggio 2011)

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