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Anno V, n. 44, aprile 2011
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Comunicazione e Sociologia (a cura di Marilena Rodi) . Anno V, n. 44, aprile 2011

Zoom immagine L’imbarazzante tradizione
culturale che vede l’Africa
legata ad antichi pregiudizi:
la storia del colonialismo

di Rosina Madotta
Un’analisi acuta del “continente nero”
in un saggio di Prospettiva edizioni


L’Africa. Un continente dalle mille ricchezze e dalle mille povertà che, con la sua aura di mistero ed esoticità, porta con sé tutta una serie di evocazioni, concetti e conoscenze – ma anche tanti pregiudizi e luoghi comuni – che attirano la curiosità o viceversa suscitano sentimenti di razzismo verso un mondo percepito “diverso” dalle altre realtà del pianeta. Idee che spesso sono figlie dell’ignoranza o dell’accettazione passiva di studi e lavori che riducono superficialmente la storia di questa porzione di mondo e le motivazioni che l’hanno portata ad esistere solo in relazione ai rapporti con l’Occidente. Eppure si può ancora leggere la storia di questa terra al di là del razzismo o dell’eurocentrismo, in modo alternativo. Si pone questo obiettivo Mamadou Ly, studioso mauritano, laureato in Storia all’Università di Nouakchott, nel suo libro Africa alla rovescia  (Prospettiva edizioni, pp. 208, € 15,00) uscito nella seconda edizione – la prima è del 1996 – rivista e integrata alla luce dei nuovi avvenimenti più recenti che hanno interessato la storia mondiale e del “continente nero”. Lo scopo principale del saggio è quello di reinterpretare la storia dell’Africa diversamente da come è stato fatto finora, abbandonare le letture terzomondiste che denunciano solo l’imperialismo assolvendo gli africani stessi dalle responsabilità storiche e sociali che hanno causato la situazione attuale del continente.

 

Le tappe fondamentali del colonialismo

Già a partire dal XV secolo la storia dell’Africa si è intersecata con quella di altre potenze occidentali in un rapporto sempre oscillante tra arretratezza, sfruttamento e dipendenza economica: le logiche del capitalismo hanno determinato e aggravato senza dubbio il sottosviluppo del continente, malgrado vi fossero numerosi e pesanti fattori di ritardo preesistenti. Inizialmente tramite il cosiddetto “commercio triangolare” con l’America e l’Europa, e successivamente con la rivoluzione industriale, l’Africa si è trovata al centro dell’economia del vecchio e del nuovo continente come principale luogo d’approvvigionamento di manodopera, sotto forma di schiavitù, e di materie prime attraverso una forma di sfruttamento sempre più diretto e violento da parte delle potenze colonizzatrici.

La conquista vera e propria iniziò ufficialmente nella seconda metà del XIX secolo con la Conferenza geografica di Bruxelles, tenutasi nel settembre 1876, e con la Conferenza di Berlino, dall’ottobre 1884 al febbraio 1885, durante le quali trovarono accordi reciproci Belgio, Francia, Inghilterra, Portogallo, Germania. La competizione tra le potenze europee nacque innanzitutto dalla consapevolezza che all’interno del continente africano esistessero numerosi giacimenti e fonti di materie prime e, conseguentemente per il controllo delle principali vie d’accesso e di comunicazione, soprattutto i fiumi Niger e Congo.

La fase più sostanziale e insaziabile della distribuzione dei territori si svolse fra gli anni Settanta del XIX secolo e i primi del XX e si concluse definitivamente dopo il secondo conflitto mondiale con la progressiva autonomia delle nazioni africane. Fu uno sfruttamento – Mamadou Ly lo definisce più volte un saccheggio – perpetrato fin nel cuore delle risorse con l’unico intento di estrarre senza sosta le materie prime, lavorarle sul posto e, salvo rare eccezioni, destinarle all’esportazione. «L’unico sviluppo – sottolinea l’autore – di cui la colonizzazione si fece volentieri carico fu, per i propri bisogni e attraverso un ricorso massiccio alle prestazioni obbligatorie di lavoro, la costruzione di collegamenti stradali, ferroviari e portuali, più caratteristici di un’economia di rapina che di una presunta opera di civilizzazione che tuttavia servì a giustificare tutti i soprusi e tutte le violenze». Facile comprendere i motivi della mancata industrializzazione e dell’inesistente sviluppo economico e sociale: «un altro punto fermo dei sistemi economici coloniali fu la scelta, sancita per legge, di non autorizzare nessun principio di industrializzazione, e la normativa fu rigorosamente applicata fino alla Seconda guerra mondiale».

 

La decolonizzazione: un fallimento

Le caratteristiche subito evidenti all’occhio di chiunque guardi una cartina politica dell’Africa durante la conquista coloniale sono i confini degli stati: linee rette tracciate a tavolino nel bel mezzo del deserto del Sahara o lungo i confini naturali segnati dai fiumi, dai laghi, dalle foreste senza tener conto di alcuna omogeneità culturale, economica, politica o sociale tra le popolazioni. La lotta tra le potenze europee allo scopo d’impossessarsi delle colonie africane, portò a dividere diversi popoli in più porzioni o a raggrupparne altri completamente estranei o addirittura opposti. Per citare un solo esempio: la Somalia fu divisa in cinque territori diversi, la Costa francese dei somali, il Somaliland e il Northern district frontier inglesi, l’Ogaden concesso a Menelik II d’Etiopia e la stessa Somalia colonizzata dall’Italia.

Successivamente, il duro cammino dei popoli per la liberazione e l’indipendenza è stato sempre costellato di ostacoli e contraddizioni, pesante eredità della colonizzazione la quale non ebbe mai l’effetto di una completa sottomissione delle genti locali. Nonostante ciò, analizzando i diversi fattori della decolonizzazione e del mancato sviluppo, ne scaturisce che l’indipendenza è stata concessa troppo in fretta ancor prima che si verificassero le condizioni minime necessarie per l’autodeterminazione e l’indipendenza vera dei popoli. A partire dalla fine della Seconda guerra mondiale e fino all’inizio degli anni Sessanta, le colonie si sono riscattate dalle nazioni europee a seguito di dinamiche venutesi a creare nel panorama mondiale. In primo luogo, il riequilibrio tra le potenze vincitrici della guerra e l’affacciarsi delle nuove potenze quali gli Usa e l’Urss sulla scena politica mondiale dettarono le condizioni dei processi di decolonizzazione; in secondo luogo, alla fine del conflitto scoppiarono dure lotte armate e insurrezioni popolari.

Oltre al colonialismo, che segnò in maniera indelebile la storia del continente, e alla progressiva acquisizione della libertà e autonomia degli stati, regnano nell’immaginario collettivo recente le immagini vivide e cruenti delle sanguinarie vicende che – tra il 1991 e il 1994 in Ruanda e Somalia – sconvolsero interi popoli e portarono la morte di milioni di persone, oppure quelle del massacro nel Darfur. Ma oggi, oltre agli avvenimenti meramente politici, se ne sommano altri che da decenni costituiscono delle piaghe: carestie, siccità, malattie, epidemie come l’Aids o il virus Ebola. «Sono infiniti gli scenari, le vicende e le immagini – scrive lo stesso autore – che rendono sempre più difficile pensare all’Africa in termini positivi, quelli che ne fanno la rappresentazione concreta, il simbolo e il sinonimo della miseria, delle catastrofi e delle minacce incombenti su altre parti del mondo».

 

Rosina Madotta

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno V, n. 44, aprile 2011)
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