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Anno V, n. 44, aprile 2011
Mangiare la carne?
Il possibile percorso
dal consumo acritico
alla consapevolezza
di Lidia Passarelli
Da Guanda un saggio che fa riflettere
sui principi del vegetarianismo etico
Nel 1985 il gruppo britannico The Smiths intonava la rivoluzionaria canzone Meat is Murder (la carne è assassinio), testo che inconsapevolmente, a distanza di anni, trova riscontro in un saggio dello scrittore statunitense Jonathan Foer che magistralmente intreccia notizie ed informazioni sull’allevamento intensivo e aspetti peculiari della vita dello scrittore. L’inchiesta, portata avanti dall’autore sposa perfettamente la narrazione, rendendo decisamente accattivante la lettura e meno retorico il libro.
La nascita del figlio Alexander è stata la causa scatenante dell’interesse di Foer nei confronti dell’argomento, perché nutrire suo figlio «non è come nutrire se stesso, è più importante». Da qui nasce Se niente importa (Guanda, pp. 368, € 18,00). Come spiega lo stesso scrittore — autore di Ogni cosa è illuminata (suo primo libro, sempre edito da Guanda) — ad un giornalista de La Stampa: «Credo che molti di noi non si pongano il problema di ciò che arriva in tavola. Non che non gliene importi. Preferiscono non farlo. Io ho capito di volerlo fare dopo la nascita di mio figlio. E più approfondivo le mie ricerche, più mi rendevo conto che ciò che stavo scrivendo aveva sì a che fare col dolore e la sofferenza degli animali, ma anche con altre cose: la qualità dell’acqua che beviamo e dell’aria che respiriamo, gli antibiotici che assumiamo senza saperlo, il riscaldamento globale, la fame nel mondo. Mangiare animali significa toccare tutte queste questioni. Che riguardano ciascuno di noi, e il futuro dei nostri figli».
Abitudini e contraddizioni
Prende così forma uno dei libri più discussi dell’anno, fonte di argomentazione per i più convinti vegetariani e protagonista di numerosi siti web che affollano la rete. Foer, servendosi di accattivanti titolature di paragrafo e di una inconsueta grafica (curata da Guido Scarabottolo) mette a nudo l’ipocrisia dell’odierna società, focalizzandosi in particolar modo sulle abitudini delle famiglie americane. I dati fornitici evidenziano la strana logica dell’essere umano che spende 34 milioni di dollari l’anno per condividere, nel migliore dei modi, la sua abitazione con un animale definito genericamente domestico. Ne viene fuori che circa 46 milioni di famiglie possiedono cani e circa 38 milioni si occupano, invece, del benessere dei “domestici felini”. La contraddizione che caratterizza tali persone sembra però nascere in due dei momenti topici della quotidianità: il pranzo e la cena; è proprio in queste circostanze che questi ultimi, amanti dei loro amici a quattro zampe, si ritrovano ad assaporare della carne di diverso genere, ignorando del tutto il processo di macellazione e di allevamento subito da quell’animale.
Allevamento intensivo: una realtà sconvolgente
Ma cosa succede negli allevamenti intensivi di maiali, mucche e polli? A questa domanda, dopo una ricerca durata tre anni, trova risposta il nostro autore, che con determinazione ha avuto modo di visitare, in modo lecito e non, questi luoghi di barbarie. Animali costretti a vivere in ambienti piccolissimi, ammassati gli uni sugli altri e macellati in modo crudele: polli legati e immersi in bagni elettrici, maiali così grassi da provocare la rottura delle loro stesse ossa (per fornire al produttore maggiore carne in un tempo esiguo), per non parlare dei trattamenti a base di farmaci a cui sono sottoposti. A questo punto la domanda nasce spontanea: può essere così incurante il genere umano? È difficile capire che queste sostanze chimiche oltre a provocare sofferenza agli animali potrebbero causarla allo stesso uomo? Alcune indagini dimostrano infatti che la carne proveniente da tali “giganti della produzione” provocherebbe l’inefficacia di alcuni antibiotici generando vere e proprie epidemie (si pensi alla febbre aviaria o piuttosto a quella suina), nonché una delle piaghe che affliggono il nostro pianeta quale il surriscaldamento globale. È ormai risaputo che tali “fabbriche del terrore” siano causa di gran parte dell’inquinamento che ammala il nostro mondo ma non sembra essere altrettanto evidente l’impossibilità da parte di piccole associazioni di opporsi a tali “generatori del male ambientale”, che senza problemi accettano di pagare salatissime multe per aver inquinato piuttosto che chiudere tutto e ricominciare, sfruttando magari una nuova politica amministrativa. Il profitto purtroppo sembra andare, come sempre, oltre la ragionevolezza e la morale.
Verso un vegetarianismo di tipo etico
Le scelte di Foer e della sua famiglia hanno sempre seguito tale principio: «Secondo quanto mi hanno insegnato a scuola ebraica e a casa, le leggi alimentari ebraiche furono concepite come compromesso: se noi esseri umani dobbiamo proprio mangiare gli animali, dovremmo farlo in modo umano, rispettando le altre creature, e con umiltà. Non infliggere agli animali che mangiamo sofferenze non necessarie, sia nel corso della vita che durante la macellazione». È proprio questo l’insegnamento che viene fuori dal libro, l’autore non mira ad una conversione al vegetarianismo ma bensì ad una sensibilizzazione dei lettori che ogni giorno, senza troppa attenzione, mangiano carne. Perché l’ignoranza ed il disinteresse sono le vere malattie di questo mondo e vanno sapientemente curate; perché «se niente importa, non c’è niente da salvare».
Lidia Passarelli
(www.bottegascriptamanent.it, anno V, n. 44, aprile 2011)
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