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A. XVIII, n. 205, nov. 2024
Depravazioni
inconfessate
di Angela Galloro
Clero sotto accusa:
da Falzea, monito
contro l’immoralità
«Allora furono presentati a lui dei bambini affinché pregasse imponendo su di loro le mani; i discepoli però li sgridavano, ma Gesù disse: ‘Lasciate stare, non impedite che i bambini vengano a me; di tali, infatti, è il Regno dei cieli’. E, imposte le mani su di loro, partì di là.» (Vangelo secondo Matteo, capitolo XIX, versetti 13-15).
Così si apre un libro che ha il coraggio di contrastare il tragico fenomeno della pedofilia nell’ambiente cattolico, senza mezzi termini, con un accurato corpus di leggi e documenti: Non lasciate che i bambini vadano a loro. Chiesa cattolica e abusi sui minori (Falzea, pp. 144, € 11,90). L’autore Augusto Cavadi è un noto filosofo dei nostri tempi che, da laico, si occupa di teologia, politica, pedagogia a Palermo, dove vive e porta avanti il suo insegnamento nelle scuole e attraverso la sua collaborazione con la Repubblica. Possiede un blog, con il quale comunica in modo interattivo con i lettori, attraverso commenti alle sue opere e interventi vari su questioni di teologia, bioetica, filosofia, morale, politica.
Un’altra prestigiosa firma sigilla la Prefazione al nostro volume: quella di Vito Mancuso, teologo d’eccellenza all’Università San Raffaele di Milano, autore di molti volumi ed editorialista de la Repubblica, dal passato particolare: da sempre studioso delle questioni sia etiche che dogmatiche, pur essendo stato sacerdote (e forse proprio per questo) per un periodo della sua vita, ha mantenuto un pensiero autonomo e spesso divergente rispetto a quello delle gerarchie ecclesiastiche. È il filosofo ad introdurre l’argomento su un duplice piano: quello della giustizia umana e quello della giustizia divina. Nel caso specifico, infatti, il prete non è solo colpevole davanti alla legge civile e in quanto tale dovrebbe scontare la sua pena, ma è perseguibile davanti alla legge di Dio, al quale dovrebbe aver consacrato la propria esistenza. La giustizia, dunque, non è “solo” una delle virtù cardinali (già note peraltro prima di Cristo ai filosofi greci) ma la virtù per eccellenza, quella più considerata tra le beatitudini. Ancora una volta – ricorda Mancuso – il vero atto criminale non consiste solo nell’aver commesso il reato/peccato di pedofilia ma nel nasconderlo: e se il primo può essere commesso da pochi, insabbiare le indagini è, nei nostri tempi, prerogativa di tutto il clero, dal papa ai parroci. Una simile ingiustizia, portata avanti in nome dell’obbedienza alla Chiesa cattolica, è inaccettabile sotto ogni aspetto.
Un’analisi lucida, senza scandali
Cavadi ci spiega quanto sia controproducente lo scandalo. Periodicamente, una notizia, vera o falsa che sia, urlata su tutte le reti può provocare sconvolgimenti che non sempre sono utili a capire l’entità dei problemi. Con lucidità e in modo ordinato, così, l’autore spiega in che cosa consiste la pedofilia, quali categorie sono più a rischio e perché. Non era stato Gesù a stabilire che «ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me»? E se anche per “piccoli” intendessero i poveri, i derelitti, gli emarginati e non esattamente i bambini, ciò non giustifica l’accanimento criminoso di parte del clero nei confronti di una categoria debole, che più di ogni altra necessita di essere protetta. Dove sono andati a finire gli insegnamenti originali? Come sono stati reinterpretati così a buon mercato? L’autore sembra chiedersi questo, mentre decide di concentrare il suo scritto su quel poco che abbiamo di visibile, pubblico, ufficiale.
Entra in gioco, a questo proposito, il potere insindacabile (anche se non infallibile) della Congregazione per la Dottrina della fede, (ovvero ex Sant’Uffizio, discendente a sua volta del Tribunale dell’Inquisizione) incaricato di occuparsi di quattro delitti specifici, uno dei quali è – precisamente – quello che viola il sesto comandamento del Decalogo, cioè il delitto contro la morale «commesso da un chierico con un minore al di sotto di 18 anni di età». Se ne deduce, quindi, che questi delitti sono di esclusiva competenza del Tribunale della Congregazione, pertanto, di nessun altro organismo giuridico.
Questa la conclusione dell’autore, che si appoggia anche al famigerato segreto pontificio, al quale queste cause sono soggette, come Joseph Ratzinger scriveva in chiusura alla lettera Sacramentorum sanctitatis tutela. Espone oltretutto le critiche di altri personaggi, come il filosofo Massimo Introvigne, sulla giurisdizione ecclesiastica, argomentando punto per punto la sua tesi, e cioè che il segreto del Sant’Uffizio ingabbia la verità tra la vittima, il colpevole e tutti gli esponenti della gerarchia che ne sono a conoscenza, pena la scomunica latae sententiae. Una verità che non può uscire fuori né dalla confessione né rivelata per altre vie, se come ha affermato il cardinale Tarcisio Bertone «la società civile deve rispettare anche il ‘segreto professionale’ dei sacerdoti come si rispetta il segreto professionale di ogni categoria». Ci troviamo di fronte a vite distrutte dal punto di vista fisico, psicologico e spirituale sulla base di un «inviolabile sigillo confessionale» o, ancora peggio, su un antichissimo potere secolare della chiesa, falso sin dalla presunta donazione di Costantino, ma accettato fino ad ora, secondo il quale, come ha affermato David Gabrielli, «le leggi della Chiesa romana sulle ‘questioni miste’ (con un risvolto civile e uno ecclesiastico) devono comunque prevalere su quelle civili».
Abuso di autorità
L’autore elenca una serie di casi in cui la verità della vittima, raccontata parecchio tempo dopo, non riceve ascolto da sacerdoti né da vescovi. Le pene sono sempre troppo poco severe (don Puleo, un prete della diocesi di Agrigento, accusato di aver abusato di un seminarista minorenne viene semplicemente trasferito in un’altra diocesi della provincia) e tutto quello che sta a cuore alla gerarchia ecclesiastica è “uscirne puliti” (in merito a questo caso, il vescovo di Agrigento ha chiesto con una contro-denuncia un risarcimento di 200.000 euro alla famiglia della vittima «per i danni che la denuncia avrebbe arrecato all’immagine della Chiesa di Agrigento presso l’ “opinione pubblica”»).
A parte i casi specifici, però, quello che preme all’autore è farci capire come il problema si trovi ai vertici. Quando Papa Benedetto XVI scrive la Lettera ai cattolici dell’Irlanda, nel marzo 2010, nella quale sentitamente rivolge le sue scuse e la sua preghiera alle vittime di abusi sessuali (particolarmente diffusi in questa nazione) e alle loro famiglie, nonché il suo rimprovero ai vescovi e ai rappresentanti della comunità ecclesiastica, non considera purtroppo che sono proprio le leggi della Chiesa stessa a non consentirle di fare giustizia su crimini così gravi, definiti nei suoi stessi documenti come «delicta graviora» .
Ipotesi di soluzioni contro questa «mala educación»
Una possibilità di salvezza da questo drammatico reato, come ipotizza Della Scala in Chi entrerà nel regno dei cieli?, potrebbe essere una diversa educazione all’intero dei seminari, «dove, forse senza malafede, la sessualità viene ‘bloccata’ alla pre-adolescenza; seminari che dovrebbero essere invece luoghi dove un ragazzo cresce armonicamente e serenamente in un contesto e in un ambiente ‘normale’».
La sessualità è da sempre, nel clero, un argomento tabù, «congelato» all’età adolescenziale e che, per questo, rischia di diventare un problema col tempo oppure – il che è peggio – un’attenuante per i colpevoli dei reati di abusi sessuali, giustificati in quanto vittime di quella che il regista Pedro Almodóvar ha chiamato nell’omonimo film, La mala educación ovvero – come recita la sentenza contro don Puleo nel caso della diocesi di Agrigento – «quel particolare clima che caratterizza le comunità chiuse come le carceri, i collegi, le navi durante le lunghe navigazioni, dove spesso si instaurano, tra soggetti deboli ed esposti, dinamiche a sfondo omosessuale».
Per quanto possa sembrare assurdo paragonare un seminario a un regime carcerario, le conseguenze psicologiche che ne possono derivare risultano in certi casi parecchio deleterie, proprio nei contesti in cui un bambino dovrebbe essere maggiormente tutelato. In particolare, ci ricorda Cavadi, è l’atteggiamento che la chiesa continua ad avere di separatezza e discontinuità tra il sacro e il profano, tra pastori e laici, che provoca quell’autorità del sacro a volte eccessiva e che “giustifica” a suo modo i delicta graviora del clero.
Chiarezza documentaria
L’autore conduce ottimamente questa analisi, in modo chiaro e “scientifico” lì dove non si può dare adito ad interpretazioni. Altrove, invece, porta avanti confutazioni alle sue stesse tesi, che permettono al lettore di destreggiarsi in un così delicato argomento e cita altre opere di cattolici e laici con lo scopo di garantire la massima trasparenza.
Sempre a questo fine rispondono, poi, i documenti in appendice al libro, come l’Istruzione sulla procedura nelle cause di molestia, con tutte le necessarie precauzioni sulla segretezza degli atti e le procedure da attuare, la Lettera ai cattolici dell’Irlanda e le recenti Normae de gravioribus delictis. Documenti per la maggior parte disponibili on line o negli archivi al momento in cui l’autore scrive, ma che vengono costantemente occultati.
Tutto resta segreto, nonostante tutto, troppo spesso sepolto dietro la pudicizia delle vittime, la protezione dei colpevoli, dietro una base del clero che insabbia e un vertice che alle volte fa finta di non sentire, senza combattere quella depravazione che – nonostante sia uscito allo scoperto solo ora – non è soltanto degrado degli ultimi tempi, se è vero che fu S. Tommaso a definire la perversione (bestialitas) il peccato più grave di tutti, e Dante a condannare agli inferi un eminente personaggio come il suo maestro Brunetto Latini, per presunta sodomia.
L’unica soluzione, la più logica, sarebbe quella di lasciare i colpevoli in balìa delle leggi dello stato civile, al quale in quanto individui sono sottoposti, dal momento che rispondere di un tale delitto solo davanti a Dio, in una presunta vita ultraterrena, è davvero troppo poco.
Angela Galloro
(www.bottegascriptamanent.it, anno V, n. 44, aprile 2011)
Elisa Guglielmi, Ilenia Marrapodi