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Home Page (a cura di Cecilia Rutigliano) . Anno V, n. 44, aprile 2011

Zoom immagine Tango per tutti! Da Città del sole
il linguaggio danzante dell’anima

di Sapienza Cama
Anna Mallamo ci conduce nell’incantesimo passionale della sensuale
ed antica danza argentina in un libro piacevole, magico e autoironico


Il signor Tango, un uomo distinto, sui cento anni portati egregiamente, solo qualche filo grigio tra i capelli che alimenta e foraggia il fascino di una figura che ammalia individui di diverse età e di diverse condizioni sociali. Egli manifesta garbatamente doti di cacciatore di anime, ma non di quelle appartenenti a persone acerbe di vita e di ricordi, perché giovani di età; lui predilige le anime di esseri umani cotti dalla vita, coloro che hanno un background corposo e fitto come un macramè, dove ordito e trama sono le gioie e i dolori che reggono il loro presente.

Anna Mallamo, giornalista de la Gazzetta del Sud e de l’Unità, originaria di Reggio Calabria, con grande ricchezza di linguaggio, con estrema simpatia e con grande spirito di osservazione, descrive in modo inimitabile, nel suo libro Lezioni di Tango raccontate da una principiante (Città del sole edizioni, pp. 96, € 12,00), i pensieri che affollano la testa di una donna, poi tanguera, fresca di iscrizione ad un corso di tango argentino.

L’autrice è meglio conosciuta con un nickname che la dice lunga sulla sua forte personalità: “Mangino Brioches”, nome del blog che la reggina cura e che è stato contenitore e veicolo dei primi appunti mentali sul ballo argentino, riportati poi nel suo testo.

La “novizia”, dopo aver quasi perpetrato una violenza a se stessa, viene assorbita dalla magia del tango, un incantesimo che ha inizio con un cambio di scarpe, prosegue con la lezione, si amplia durante la serata danzante, chiamata “milonga”, e continua ancora durante la vita di tutti i giorni.

 

Perché il tango argentino e non un altro ballo?

Volendo fare un passo indietro, proviamo a chiederci: cos’è che spinge un individuo ad approdare alla danza più bella del mondo che l’Unesco ha designato patrimonio dell’umanità?

Le risposte, tante per la verità, partono da direzioni diverse, ma tutte convergono verso un’unica strada, e cioè: cercare quel “non so che” assente nella vita quotidiana. Provare a tradurre quel “non so che”, impresa ardua e colma di fascino, significa serpeggiare con la propria anima tra quelle di coloro che, due o tre volte alla settimana, si slegano dalla monotonia dei giorni tutti uguali per calarsi in climi e situazioni lontane.

Enrique Santos Discèpolo, compositore di brani sia di tango che di milonghe (in questo caso per milonga viene intesa una versione più allegra e ritmata del tango), diceva che questa danza è un pensiero triste che si balla. Ma la tristezza è un termine fin troppo generico, ciò che permea il testo e la musica del tango è la nostalgia; Buenos Aires e Montevideo erano i porti dove genti di ogni razza e nazionalità giungevano per migliorare la propria condizione e sperare di allontanarsi dalla povertà di mezzi, lasciando nella propria terra gli affetti più cari. Oggi, nei paesi occidentali, dove il tango argentino si diffonde a macchia d’olio, si sbarca il lunario nelle sale da ballo dove, come dice la Mallamo, “accadono” le milonghe, per allontanarsi da una povertà di sentimenti.

Le coppie, uomini e donne, uniti da un sentimento amoroso, trovano nel tango la possibilità di ridisegnare la geografia della loro unione, dove l’uomo guida e la donna segue. Un ritorno alle origini, per molti versi, dopo che in malo modo e per tanti anni si è parlato, discusso e combattuto per la parità dei diritti tra uomo e donna, parità necessaria sul piano giuridico, ma che una cattiva interpretazione della stessa ha alterato così da offuscare il risultato che l’ordinamento giuridico stesso si era prefissato di raggiungere.

La nostalgia nell’esistenza di ognuno potrebbe essere rivolta a quella parte di sé che non tornerà mai più, a quei sogni mai realizzati che lasciano il posto ai nuovi.

 

Fatta l’iscrizione… si parte!

Sedici in tutto sono le lezioni che impartisce ai lettori Anna Mallamo all’insegna dell’ironia, ironia rivolta a se stessa e ai compagni di corso. La giovane reggina mette in risalto, da un lato, la paura di sbagliare nell’eseguire il passo e, dall’altro, l’irrefrenabile voglia di mettersi in mostra, alla prova. Ostentazione e riservatezza duellano, quindi, all’ultimo sangue, il suo umorismo dalla lezione numero uno a pagina 10: «la principiante assoluta non riesce a non guardarsi le scarpe, non riesce a non guardarsi in tutti gli specchi perché si sente storta, trasportata e sbilenca, e lui – che è un principiante assoluto però è maschio, e, si capisce anche lui porta lì dentro il fatto che si sente stupido e impedito, e più responsabile del solito, perché quello è tango mica vita, in cui uno si può nascondere dietro mamme, gonnelle e presunzioni». Lo scontro con l’altro sesso è inevitabile e, qualche piccolo dispetto, ci scappa pure, ad esempio quando l’uomo si lamenta del passo, a suo dire, errato della donna e la dama risponde con un passo lunghissimo al punto che le “gambette” storte dell’uomo a stento completano la camminata. O ancora a pagina 37: «per noi principianti disegnati da Botero, con addosso duecentocinquanta chili di dubbio impaccio e timidezza». E la sua ricercatezza linguistica è evidente dalla lezione sei a pagina 35: «L’abbiamo sentito un sacco di volte. Magari non sapevamo come si chiamasse, oppure volevamo ignorarlo, ma c’era. Quella microscopica contraddizione. Quel bastiancontrario d’un istante. Quel dubbio nel cuore della certezza. Quel fiocco di neve in mezzo al fuoco, quel cristallo di sale nello zucchero. Quella sillaba. Quella piega del labbro. Quello sguardo di spalle. Quel gesto della mano, sfuggito a tutti. Quel passettino in controtempo, nel mezzo del dì. Ora sappiamo come si chiama: traspié».

 

La milonga, un banco di prova

La milonga intesa come serata di ballo dove tutti, principianti, intermedi e avanzati si incontrano. La lingua è uguale per tutti ma i livelli e le capacità sono diversi. E qui parte la sfida con se stessi e con chi ne sa più di una principiante. Si resta affascinati da chi da anni spende tanto del proprio tempo libero per “ripulire” e migliorare passi e sequenze tanto che, avendo dei pennelli al posto dei piedi, si potrebbe aver lustrato il pavimento di una metropoli. Le donne imparano un nuovo modo di fare autopromozione di sé, si mettono in gioco con tutta la loro vitalità e vecchie forme di bellezza vengono riscoperte come i gioielli appariscenti e rigorosamente falsi, le pettinate tirate, i tacchi e le calze a rete. L’artefice del testo porta i lettori ad immaginare, lungo il corso della milonga, atmosfere rarefatte dove solo i colori accesi dei tangueros e i movimenti rapidi e furtivi dei piedi si carpiscono con nitidezza. Durante la serata si apre una parentesi che sottrae i partecipanti dal caos della vita normale, avvolgendoli in un turbinio di profumi e di odori, quelli dei corpi che si stringono in un abbraccio. Un codice severo d’altri tempi regola la festa, l’invito che, a seconda delle usanze del posto, si deve fare con il cabeceo, la mirada o con la mano, vale a dire con un cenno del capo, con un semplice sguardo e con un chiaro invito allungando il braccio. È impossibile non guardarsi tra dame, si apprende e ci si autolusinga, ci si confronta e inevitabilmente si migliora. Le descrizioni minuziose e veloci, quasi come se possedesse, la scrittrice, una telecamera che le consente di commentare in presa diretta quello che ha davanti gli occhi, rendono bene i luoghi e le sensazioni che si vivono durante il ballo; c’è un’energia oscura che si ignora di avere a imperare e a svolgere il ruolo di protagonista. È probabile, se non addirittura sicuro, che si conoscerà a memoria l’odore della pelle di un tanguero, ma non il suo nome o la sua nazionalità. Il tanguero, quando viaggia, a qualsiasi titolo, si informa della milonga più raggiungibile, e questo aggiunge fascino alla serata, perché si balla con un tanguero o con una tanguera, che è possibile non rivedere più.

Uno spaccato, dunque, nella vita dei ballerini in cui la realtà si fonde con la fantasia e la milonga diventa un contenitore di sogni e speranze, una fonte inesauribile da cui trarre ispirazione, ma in cui affogare anche le delusioni. Pensare al tango solo come danza o solo come musica è restrittivo, si tratta di un ballo che aggiunge colore e sapore al sapere, è cultura, è conoscenza. Studiare i passi del ballo porteño significa risalire ai balli tribali che la gente di colore per tradizione eseguiva intorno al fuoco. Lo strumento cardine della musica da tango, il bandoneon, trova le sue origini in Germania e i più grandi autori di testi sono di origine italiane come Anibal Troilo, Juan D’Arienzo, Carlos di Sarli, Francisco De Caro e Osvaldo Pugliese, tutti figli di immigrati italiani.

 

Con il tango in testa per sempre

Se, tra il signor Tango e l’allievo o l’allieva si crea l’intesa, in ogni azione che questi realizzino, sia piccola che grande di importanza, il tango vi lascia il suo segno. Sembra incredibile, ma il tango sul praticante apporta una certa trasformazione nello stile e nelle attitudini, stile ed attitudini che risentono comunque dell’epoca di appartenenza, ecco perché il tango più di ogni altro ballo, anche se ricorda tempi trascorsi, è al passo, nel contempo con la nostra epoca, perché vi si mescola senza sosta, senza restare chiuso in passi e movenze stereotipate. José Gobello, saggista e poeta argentino di famiglia italiana che da anni si occupa dello studio del lunfardo (il gergo tipico di Buenos Aires e di Montevideo che spesso ricorre nei testi di tango) dice: «il tango è popolare, colto romantico avanguardista, dove per avanguardista si intende il risentire dell’ansia e dello stress che attualmente distingue la vita delle grandi città.» Quindi il tanguero mescola la sua sensibilità e il suo bagaglio esistenziale a note che possono avere anche più di un secolo.

Un’espressione danzata, il tango, che da un lato imprime un codice universale e dall’altro concede la possibilità di esprimere se stessi attraverso un abbraccio che crea un equilibrio. Tra i due ballerini si addensa una vera comunicazione fatta tra due persone che incedono l’uno verso l’altro radicandosi a terra, come è successo agli immigrati che scendendo dalle navi avanzavano verso una terra sconosciuta mettendovi le radici. Si crea un equilibrio nuovo che non appartiene, né a lui, né a lei, ma alla coppia, ciò spiega perché a volte si legge in letteratura che il tango è un mostro con quattro zampe, due teste e un unico corpo.

La tenuta stilistica e la forza emozionale sono le peculiarità cardinali di questo libro che parla di emozioni. L’opera si legge velocemente e, come al tango viene riconosciuto un potere anestetizzante se non addirittura allucinogeno, così il libro rende l’idea di simili effetti. La scrittrice racchiude le sue “memorie”, la cronaca di un’esperienza positiva che durante il suo percorso le ha concesso il “lusso” di scavare a fondo nei propri pensieri descrivendoli.

Troveranno il libro interessante e piacevole tutti coloro che ballano il ballo porteño perché: chissà quante volte dame e cavalieri avrebbero voluto dare parole alle loro sensazioni senza riuscirci, invece la Mallamo riesce a trovare l’espressione giusta per definire sensazioni di paura, difficoltà e di soddisfazione di chi, da adulto, si cimenta in una disciplina che impegna tutti i sensi. E chi non balla il tango? Rimarrà colpito dalle narrazioni della Mallamo e, volendo conoscere il traspiè, la salida, la mordida e altri passi, correrà a scuola ad imparare il tango argentino.

 

Sapienza Cama

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno V, n. 44, aprile 2011)

Collaboratori di redazione:
Elisa Guglielmi, Ilenia Marrapodi
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