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Anno I, n° 4 - Dicembre 2007
Gli scienziati
dicono bugie?
di Andrea Trapasso
Economia e politica
dietro le tante balle
degli esperti illustri
«La scienza basata su foschi allarmi per il futuro dovrebbe essere sempre sospetta, perché è politicizzata per definizione. Quando una singola fonte di finanziamento è dominante, la scienza finisce quasi sicuramente per diventare l’ancella della politica. Per queste ragioni c’è bisogno di una guida politicamente scorretta alla scienza». È con le parole dello stesso autore che si può sintetizzare il tema di fondo e filo conduttore di questa opera con cui lo statunitense Tom Bethell va ad analizzare e smascherare, con efficace freddezza e senso critico, quei meccanismi che riguardano il rapporto scienza-politica-economia, per metterci in guardia da quei “dogmi” scientifici che sono universalmente accettati per veri, ma che, in realtà, sono il frutto di interessi politico-economici piuttosto che di procedimenti sperimentali di laboratorio.
Le balle di Newton – Tutta la verità sulle bugie della scienza (Rubbettino 2007, pp. 280, € 16,00), già apparso negli Stati Uniti con il titolo The politically Incorrect Guide to Science (Regnery Publishing Inc., Washington 2005), non è un libro contro la scienza, come sottolinea Guglielmo Piombini nella Prefazione, ma una difesa del corretto metodo scientifico dagli abusi che vengono compiuti in suo nome.
Giornalismo, economia e politica contro la correttezza della scienza
Assume particolare risalto l’attacco sferrato da Bethell ai giornalisti che, nella società odierna, hanno un enorme potere (quello dell’informazione, capace di esercitare un forte condizionamento nei confronti delle masse) che consentirebbe loro di intraprendere potenti offensive contro i governi, e che invece, troppo spesso, non solo non sfidano queste politiche, ma, addirittura, le promuovono, perfino quando il governo persegue palesemente il proprio interesse. Questo succede in particolar modo nell’ambito scientifico. La verifica giornalistica in tale settore, ad avviso di Bethell, continua a farsi attendere. I motivi? Potrebbero sembrare oscuri, ma questo testo lascia trapelare questi tortuosi meccanismi. I giornalisti usano il loro potere persuasivo e propagandistico per esercitare un’influenza politica; ma se la politica cerca di controllare l’attività scientifica, in quanto intorno ad essa gira un enorme flusso di denaro, appare naturale che su questo terreno il giornalismo tenda a muoversi con i piedi di piombo.
Ancora una volta, dunque, l’economia rappresenta l’ago della bilancia. I governi, infatti, cercano di ottenere il maggior numero di finanziamenti (sia pubblici che da privati) per promuovere delle ricerche scientifiche. Ma una strategia governativa basata sul finanziamento di teorie in conflitto darebbe l’impressione, evidenzia l’autore, di mirare a casaccio; se, per uno stesso argomento, il governo investisse su teorie diverse, una parte di questi investimenti risulterebbe alla fine infruttuosa, visto che alcune di queste teorie saranno sbagliate, ma, allo stesso tempo si avrebbe una maggiore possibilità di arrivare a dei risultati positivi. Tuttavia ai politici, ci dice Bethell, non piace che si rinfacci loro di aver sprecato dei soldi, per cui, la tendenza dei governi attuali è quella di sposare una sola di quelle teorie, spacciandola per giusta ad oltranza, anche se risulta essere fallace, per ottenere così il consenso della massa e allo stesso tempo un numero sempre più alto di finanziamenti.
È duro l’attacco portato dal giornalista americano al mondo della politica e dei finanziamenti pubblici i quali hanno promosso l’idea che una teoria è di per sé vera se gode del consenso della massa. Il consenso scoraggia il dissenso ma questo sistema, che è il trionfo di un certo tipo di politica, è il disastro per il progresso scientifico, progresso che da sempre, sottolinea Bethell, è stato reso possibile solo grazie agli investimenti dei privati. La ricerca nel settore privato si basa sulla prova e sull’errore e il capitale viene investito su diverse teorie anche se solo una di queste risulterà remunerativa. È proprio la concorrenza tra diverse teorie, e dunque tra diversi privati, che ha spinto in avanti il progresso scientifico.
In questo libro salta all’occhio come, nel sistema appena descritto, un ruolo di peso, o forse sarebbe meglio dire il ruolo di peso è giocato dagli Usa. Come poteva essere il contrario? L’autore ne è consapevole.
Sono diversi i settori che egli va ad analizzare. Ma se in alcuni risulta particolarmente efficace con le sue argomentazioni, in altri, ad avviso di chi scrive, lo è un po’ meno, in quanto si limita a contrapporre alle teorie che vuole criticare una serie di ipotesi o di citazioni di eminenti personaggi (eminenti negli Usa ma completamente sconosciuti per un italiano medio) che, fino a prova contraria, rimangono delle teorie che possono avere ugual valore di quelle che intendono annullare. È facile dire che certi dati e certe percentuali non sono veri, e presentare come controprova altri dati e altre percentuali. Chi ci dice che questi rispecchiano la realtà? Per tali ragioni, sempre secondo noi, sebbene sia un libro che parla di scienza e che vuole difendere il metodo scientifico, in alcuni punti quest’ultimo è visibilmente trascurato.
In sostegno delle idee promulgate, comunque, intervengono le abbondanti note che rimandano alle fonti utilizzate dall’autore nell’affermare determinate cose. Interessanti sono, inoltre, i diversi box, inseriti nel corso del testo, contenenti, oltre che ridondanti citazioni, anche approfondimenti, ulteriori informazioni e l’indicazione di diversi libri che, secondo Bethell «non vogliono farci leggere».
Entriamo ora nello specifico per vedere fino a dove l’autore ha avuto il coraggio di spingersi e sfidare le posizioni dominanti.
Ambientalismo e politica: un connubio pericoloso ma molto fruttuoso
Lo statunitense effettua un’ampia e approfondita trattazione sui vari temi dell’ambientalismo. Primo fra tutti quello del riscaldamento globale. Lo scenario lo conosciamo tutti: gli ambientalisti sostengono che il nostro pianeta si sta surriscaldando in maniera eccessiva e che tale situazione è determinata dall’azione dell’uomo, dall’emissione esagerata di anidride carbonica nell’atmosfera e dalle varie forme di inquinamento. L’andamento grafico della temperatura della Terra nel corso dell’ultimo Millennio è stato rappresentato come una “mazza da hockey”, in cui l’asta della mazza indica la temperatura dall’anno mille all’Ottocento, che si è mantenuta costante, mentre la parte della mazza che serve a colpire il dischetto è la temperatura del Novecento, che ha registrato una crescita lineare.
Bethell scredita tale teoria, evidenziando come i dati suggeriscano che le emissioni di anidride carbonica non sono sufficienti ad innalzare la temperatura globale e che, inoltre, la temperatura del globo nel corso del millennio non è stata così costante come ci dicono, ma vi sono stati alti e bassi, periodi di riscaldamento e di raffreddamento. Ma allora perchè si è arrivati a simili conclusioni? A detta dell’autore, la teoria del riscaldamento globale dovuta all’uomo ha riscosso un così ampio successo che oggi «l’attività lobbistica legata a tale teoria è un industria da 1,6 miliardi di dollari» e, dunque, tale teoria viene mantenuta «per garantire la continuità dei flussi di finanziamento», visto che per far ciò «i risultati devono soddisfare i desideri dei finanziatori». Bethell presenta numerosi dati a sostegno di quanto afferma fino ad evidenziare gli effetti negativi, in termini di depressione economica (soprattutto per gli Usa), dell’applicazione del trattato di Kyoto se non si trovano dei modi alternativi per sopperire al bisogno energetico mondiale. A tale questione si innesta il secondo dei temi trattati da Bethell: quello del nucleare.
Anche in tale contesto la critica è pungente e largamente documentata. Egli dimostra come l’utilizzo del nucleare non solo non è così pericoloso come ci vogliono far credere, ma rappresenta anche un guadagno pressoché illimitato in termini economici e soprattutto ambientali. I dati mostratici dall’autore sono chiari e inequivocabili: nessuno è mai morto in America a causa delle radiazioni; gli effetti di disastri come quello di Cernobyl sono stati enormemente ingigantiti; in tutto il mondo si sta registrando un aumento del numero di centrali nucleari: le 104 degli Stati Uniti, per esempio, forniscono il 20% dell’elettricità del paese. Inoltre è dimostrato come le altre fonti di energia rinnovabili (eolico, solare ecc.) siano insufficienti a sopperire al fabbisogno energetico in vista di un abbandono delle centrali a carbone, per cui gli ambientalisti stessi stanno cominciando a vedere nel nucleare una necessaria soluzione. È questa, secondo Bethell, l’ipocrisia dell’ambientalismo: ogni problema ne fa superare un altro. Per tanti anni l’energia nucleare è stata ingiustamente demonizzata, ora, con il problema (o presunto tale) del riscaldamento globale, essa non è più un problema/pericolo ma una rosea alternativa.
Strettamente connesso a questo argomento, Bethell affronta in due capitoli consecutivi il tema dell’ormesi. Questo termine indica quella teoria secondo cui alcune sostanze, nocive in dosi elevate, possano essere benefiche in piccole dosi. I dogmi scientifici hanno negato tale teoria. Se una sostanza è tossica, lo è e basta. E proprio da questa concezione sono derivate le varie rinunce scientifiche su materiali vari (tra cui quelli radioattivi), mentre, in realtà, potrebbero essere sfruttati in termini benefici. I casi sono numerosi e inquietanti e l’autore li esplica in maniera esaustiva.
Egli dedica una particolare attenzione alla questione del bando al Ddt, tema con cui va direttamente ad attaccare il governo del suo paese: gli Usa. Con spietatezza denuncia come i propri governanti siano stati i principali artefici del divieto al Ddt, utilizzato precedentemente per uccidere nei paesi del Terzo Mondo gli insetti portatori di malaria e come questa scelta abbia causato dal 1972 ad oggi milioni di morti in questi paesi. La motivazione utilizzata per giustificare la scelta stessa fu quella della pericolosità del Ddt per l’uomo (si disse che causasse il cancro) e per l’ambiente, ma tale pericolosità non fu mai sperimentata, anzi le prove furono schiaccianti: il Ddt salva vite umane.
L’ultimo grande tema ambientalista che l’autore affronta in questo libro è quello della biodiversità e delle specie animali minacciate. Ma qui non è così efficace come in precedenza. Seppur svelando alcuni aspetti oscuri della vicenda, che quindi ci mettono in guardia, in questo capitolo Bethell non fa altro che negare tutte le questioni riguardanti l’estinzione delle specie animali, tutti gli studi e i lavori condotti in materia da scienziati e professionisti, riconducendo il tutto alla normalità e consolandosi col fatto che le specie estinte sono inferiori a quelle che ogni anno si osservano per la prima volta. Ma questo cosa c’entra? Queste nuove specie non stanno gia abitando il mondo? Questo non è insufficiente a consolarci della perdita di tante altre? Il problema dunque non è capire il perchè le tante altre stiano scomparendo? Domande da profani...
Medicina e biomedicina: i grandi temi attuali
Secondo l’autore la tesi dell’Aids nato e sviluppatosi in Africa (1985) è un esempio di sottomissione della scienza alla politica ancora più eclatante del riscaldamento globale. Anche in questo caso per ambigue motivazioni politiche e, soprattutto, economiche, chiaramente esplicate nel testo, si è creata questa teoria dal nulla senza che ci fosse alcuna corrispondenza con la realtà. Da un giorno all’altro dieci milioni di africani si ritrovarono, senza saperlo, malati di Aids. La cosa più aberrante, a nostro avviso, sempre se ciò che Bethell ci dice corrisponde al vero, è il modo in cui vengono effettuate le diagnosi, diagnosi che non considerano neanche la presenza o meno del virus Hiv (che tutti sappiamo essere la causa primaria dell’Aids). E ancora una volta, a detta di Bethell, gli Usa hanno un ruolo dominante in questi assurdi giochi di potere. Un capitolo, questo, da leggere tutto in un fiato...
Il caso della clonazione, e del suo insuccesso, è ripreso dall’autore per collegarsi ad un altro grande tema dei giorni nostri: quello delle cellule staminali e degli studi della bioingegneria. Per quanto riguarda la clonazione, pur mettendo l’accento sul fatto che essa debba essere considerata «una forma di riproduzione e non di resurrezione», Bethell ne evidenzia il clamoroso insuccesso in seguito al primo sensazionale caso della pecora Dolly, che aveva fatto diffondere un ingiustificato entusiasmo: «Un esperimento scientifico è tale se può essere ripetuto, e seguendo questo criterio la clonazione è più un tentativo per errori che un vero procedimento scientifico».
La situazione diventa maggiormente complicata nel caso delle cellule staminali. In questo caso, evidenzia l’autore, il dibattito si è svolto prevalentemente sul piano politico; è difficile sentire delle spiegazioni scientifiche esaustive in questo baccano, anche perché scienziati, politici e giornalisti hanno impostato la questione come uno scontro tra teologia e scienza. In ogni caso, raccomanda Bethell, occorre evitare facili entusiasmi e procedere con cautela, anche perché i risultati ottenuti dagli esperimenti sugli animali non è detto che riescano anche nell’uomo e il principale problema da risolvere è il rigetto da parte del paziente in cui sono state trapiantate le cellule staminali.
Un’altra forte critica è indirizzata da Bethell al Progetto genoma umano, che prevede la totale interpretazione del complesso mondo del Dna umano e la possibilità di curare diversi disturbi agendo direttamente su di esso, dato che si ritiene che questi disturbi siano generati da disfunzioni di tipo genetico. Egli ci svela come tutti gli studi effettuati in questi anni sul Dna non hanno dato i frutti sperati contrariamente a quanto si cerca di far credere, ancora una volta per motivazioni di carattere politico-economico (500 milioni di dollari investiti in tali ricerche).
L’attacco agli scienziati si fa sprezzante e diretto su questo argomento. Secondo Bethell, questi studiosi non hanno l’umiltà di riconoscere che quel qualcosa di estremamente complesso che è l’uomo non può essere ridotto ad una formula di geni e filamenti. Questo, a parer nostro, non deve frenare l’uomo, il quale con lo studio deve sempre cercare di scoprire qualcosa in più su di sé e sulla propria natura.
Strettamente connesso a questo “furore genetico” è, ad avviso del giornalista statunitense, un altro grande errore della medicina contemporanea: la spiegazione del cancro come determinato da una mutazione genetica. Secondo l’idea dominante, vi sono delle metamorfosi che trasformano le cellule normali in cellule cancerogene. Questa teoria è stata seguita dai primi anni Settanta, con l’esclusione di tutte le altre possibili, e, manco a dirlo, ha portato ad un aumento sensazionale dei finanziamenti. I risultati, però, sono stati scarsi o nulli. Bethell ci illustra come gli scienziati non siano stati in grado di dimostrare che ci sia un gene in grado di trasformare le cellule in cancerogene. Più che altro, possiamo dire che diversi geni sono alterati nelle cellule colpite dalla malattia, ma che nessuno di essi sia discriminante in un qualche modo. In ogni caso, nessuno sembra volersi allontanare dalla teoria dominante. A tal proposito, significativa è la frase conclusiva del capitolo in questione: «in riguardo all’interazione tra scienza e politica, occorre dimostrare che se si vuole pensare fuori dagli schemi è meglio non farsi finanziare da quegli schemi». A voi la riflessione...
Miti e credenze secolari: creazione o evoluzione?
Nell’ultima parte del libro vengono trattate quelle concezioni che noi oggi abbiamo assunto come leggi ma che in realtà di legge hanno ben poco.
Prima fra tutte, l’idea che fino alla scoperta dell’America di Cristoforo Colombo gli uomini e gli studiosi pensassero che
Interessante e condivisibile lo spunto offerto dall’autore per collegarsi ad un altro mistero insoluto: quello dell’origine dell’uomo e della vita. Bethell fa notare come numerosi scienziati e matematici (Keplero, Newton, Cartesio), si resero conto che le leggi della natura che la scienza cerca di determinare sono prevedibili solo all’interno di un ordine cosmico creato e non nel caos; quindi si presuppone l’azione di un “creatore intelligente”. Eccoci entrati in pieno in uno dei territori più controversi e oscuri della vita. La posizione dell’autore è chiara: la teoria dell’evoluzione di Darwin è insufficiente a spiegare la vita perchè non può rispondere ad una domanda fondamentale: come sono nate le creature del mondo per potersi poi evolvere?
Non occorre dire altro. Occorre leggere con attenzione questa parte del libro. Il tema è scottante e ci riguarda da vicino; la riflessione intellettuale e filosofica dell’uomo ha sempre girato intorno a queste questioni. Gli spunti sono dunque molteplici.
Considerazioni conclusive
Le balle di Newton è, secondo noi, un libro ironico, divertente, dal ritmo incalzante, ma, soprattutto, interessante, che assolve bene al compito di mettere al lettore la cosiddetta “pulce nell’orecchio”, facendolo riflettere sul fatto che molte cose non sono così come appaiono, e che il mondo politico continua ad essere un qualcosa di oscuro e inesplorato (speriamo non inesplorabile!). Per non parlare del mondo dell’informazione! Ma in termini di conoscenze certe, spetta al lettore stesso andare a ricercare la corrette informazioni scientifiche che andrebbero ad avvalorare le critiche di Bethell, a togliere da esse l’alone della strumentalizzazione politica e della mera posizione personale e, di conseguenza, a dar peso scientifico al suo lavoro.
Andrea Trapasso
(www.bottegascriptamanent.it, anno I, n. 4, dicembre 2007)