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Home Page (a cura di Tiziana Selvaggi) . Anno I, n° 4 - Dicembre 2007

Zoom immagine Una “zona” italiana dove la libertà
e la dignità furono violate: l’Etiopia

di Clementina Gatto
Storie di uomini nell’Africa Orientale: dal conflitto in armi alla ricerca
del loro senso di identità virile; le vicende in un testo di Ombre corte


Uno spaccato di storia molto particolare è quello che Giulietta Stefani presenta nel suo Colonia per maschi (Ombre corte, pp. 192, € 18,00), in cui, come con un bisturi, traccia sapientemente un primo ampio taglio che riporta il lettore al periodo fascista e, da esso, procede con una seconda incisione, focalizzando l’attenzione su un aspetto preciso, la campagna propagandistica attraverso la quale Mussolini condusse rapidamente l’opinione pubblica alla conquista dell’Etiopia, che avvenne nel maggio del 1936 dopo un’offensiva di sette mesi.

Da questo frammento, l’autrice estrae il nodo della questione, rendendo subito evidente che la sua non è una storia di guerra o di politica in senso stretto, su cui tra l’altro la letteratura storiografica è stata molto prolifica: quella che emerge dalle pagine del saggio è un’analisi del colonialismo italiano condotta dal basso, a partire dal quotidiano di chi è stato direttamente protagonista di un capitolo che i libri di storia finora non hanno raccontato. L’autrice esamina al microscopio alcuni aspetti del tutto inediti, curiosando fin nelle pieghe più minute della struttura sociale insolita e spesso ibrida che l’invasione italiana ha generato. E, come lei stessa svela fin dall’Introduzione, i protagonisti assoluti di questa vicenda sono gli uomini e, più precisamente, i maschi.

 

La guerra come terapia maschile: la soluzione italiana alla crisi europea

L’ipotesi da cui muove l’autrice è quella secondo cui il colonialismo italiano nell’Etiopia fascista è stato funzionale a rispondere a precise esigenze di «ridefinizione dell’identità maschile nazionale».

Come spesso accade, il successo di coloro che scrivono la storia è determinato solo in parte dalle loro grandi doti individuali: la restante percentuale, infatti, è dovuta all’insieme delle circostanze favorevoli che fanno da sfondo al teatro in cui operano i grandi individui. Esse, probabilmente, si dispongono in una combinazione casuale quanto fortunata di eventi che consentono svariate letture e che, opportunamente disposti, possono innescare più di una reazione, a seconda di chi ne prenda le redini e ne guidi il corso.

Quanto detto, con le dovute cautele, è applicabile alla situazione europea della fine del XIX secolo, che era stato testimone di notevoli cambiamenti che avevano stravolto il continente, vale a dire l’industrializzazione, l’urbanizzazione, le innovazioni tecnologiche e scientifiche e la conseguente sedentarizzazione delle abitudini di vita. In questo quadro, era emersa un’immagine debole dell’identità maschile e, di conseguenza, , il ruolo della donna ne aveva tratto impulso.

In questa crepa, si insinuò Mussolini con la sua politica di imperialismo. Negli anni che vanno dal 1932 alla vigilia della campagna contro l’impero abissino del 1935, infatti, egli preparò il terreno diplomatico e militare per l’espansione verso la futura colonia africana. Il dittatore presentò il conflitto come antidoto alla «frustrazione identitaria», la vittoria come palingenesi, la violenza come nuovo carattere dell’identità nazionale. Significative, a proposito del lavaggio del cervello operato dalla propaganda mussoliniana, le parole che aprono il libro di Stefani, tratte dal celebre romanzo di Ennio Flaiano, Tempo di uccidere, che fu partecipe e testimone degli eventi di quel periodo: «Qui [in Etiopia] sei un uomo, ti accorgi cosa significa essere un uomo, un erede del vincitore del dinosauro. Pensi, ti muovi, uccidi [...]. Passi inerme e la natura stessa ti teme [...]. La vanità ne esce lusingata».

 

Rapporti sociali nella colonia: omosessualità, razzismo, prostituzione

L’indagine dell’autrice procede facendosi strada all’interno delle relazioni intrecciate tra i colonizzatori e gli autoctoni, per carpire gli elementi di continuità nei comportamenti degli italiani in Etiopia, a partire dalle loro diverse appartenenze sociali in madrepatria e dai diversi ruoli militari ricoperti nella colonia. Particolare attenzione è dedicata ai contatti intrattenuti dagli italiani colonizzatori con la popolazione indigena, chiaramente intrisi di razzismo e paternalismo, ma anche caratterizzati dalla curiosità esotica nei confronti del nuovo e del diverso, e dalla sensazione di libertà dovuta alla lontananza geografica dal rigido costume italiano, moralista e cattolico. Nelle numerose memorie autobiografiche, infatti, si registra una certa ambivalenza nei rapporti omosessuali con i giovani indigeni sottomessi, spesso al limite della pedofilia, consumati nonostante i tabù, a volte segretamente, a volte con una certa libertà. I militari italiani, infatti, avevano confezionato alcune tendenziose giustificazioni da cui, ad esempio, veniva legittimato il loro ruolo “attivo”, rispetto a quello “passivo” degli indigeni; oltretutto, queste abitudini sessuali apparivano necessarie a limitare un’altra pratica disprezzata, l’onanismo. Quanto ai rapporti eterosessuali, la ricostruzione riporta la stessa ambivalenza: da un lato, infatti, il dittatore inviava alcuni gruppi di prostitute italiane a popolare i bordelli africani, per evitare il rischio del meticciato; d’altro canto, la pratica sessuale con le donne indigene era quanto mai vagheggiata e diffusa.

 

Studi di genere e analisi di fonti inedite: mille storie in una storia

Con questo contributo, Stefani si inserisce in un particolarissimo e recente filone antropologico, quello dei Men’s Studies, che promuove la rilevanza dell’approccio di genere per la conoscenza storica. Storia di uomini, certo, come sempre, ma l’elemento di novità, qui, risiede nel tentativo di portare a galla quanto sottende le apparenze “neutre” degli uomini invisibili raccontati dai manuali scolastici e dalla storiografia. Addentrarsi in un terreno così specifico, per l’autrice, offre la possibilità di trovare il motore dei fatti di quegli anni, aiuta ad argomentare le risposte che chiediamo ad una vicenda che si rivela tanto una storia di aggressività, quanto una di autodifesa, la ricerca di una soluzione al crollo della mascolinità già in crisi a partire dalla fine del secolo precedente.

Ed è proprio l’invisibilità dell’oggetto di analisi che spinge l’autrice a operare una particolarissima scelta delle fonti, che sono tanto originali quanto disomogenee: essa accoglie alcuni documenti politici degli archivi coloniali e articoli della stampa di quel periodo, ma anche un romanzo postcoloniale (il già citato Tempo di uccidere, di Flaiano stesso, cui, tra l’altro, è interamente dedicato l’epilogo del saggio) e, ultimo ma non per importanza, un corpus di memorie, diari e lettere, prodotti da uomini e donne che videro coi loro occhi e vissero sulla loro pelle quelle vicende africane. La straordinaria sensazione che si prova leggendo questi documenti privati è quella di entrare in profondità nella mente dei protagonisti in cui alcuni lettori potrebbero trovare i loro nonni o i loro genitori, mentre altri, ormai pochi (fortunati?), vi potrebbero leggere se stessi in una lontanissima gioventù. Sarebbe bello poter conoscere la loro sensazione dopo tanti anni... qualche rimorso accanto alla nostalgia della gioventù?

 

Clementina Gatto

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno I, n. 4, dicembre 2007)
Collaboratori di redazione:
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