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A. XVIII, n. 205, nov. 2024
Riorganizzare il Belpaese:
i giovani e l’informazione.
Cosa resta all’Italia di Silvio
dopo sedici anni di governo
di Paola Zagami
Ipotesi di post “berlusconismo”
in un testo edito da Chiarelettere
Quando mancano categorie specifiche per designare una situazione nuova è naturale ricorrere a similitudini spesso approssimative. Giornalisti e scrittori sembrano fare a gara per trovare il paragone più azzeccato con l’attuale situazione politica del paese, tanto delicata quanto decifrabile a fatica da tutti coloro che la stanno vivendo. Al centro delle riflessioni di ognuno si trova, naturalmente, il premier Silvio Berlusconi, capace di segnare indelebilmente sedici anni di storia del nostro presente. Sulla sua politica più o meno condivisibile si può dire decisamente meno dello stile di vita, della mentalità e del sistema di valori mutuato dalla sua irripetibile esperienza di politico e vertice del sistema informativo del paese, per via della gestione di gran parte dei mezzi di comunicazione. Una sorta di Napoleone con ambizioni presidenziali per alcuni, un imperatore amante dei vizi e degli intrighi di palazzo per altri e Re Solicello secondo Oliviero Beha, giornalista sportivo e non solo, autore di Dopo di lui il diluvio. Weimar, Italia (Chiarelettere, pp. 244, € 14,00). Senza eufemismi o preamboli, Beha riflette su svariati aspetti della società italiana al tramonto del berlusconismo, dalla condizione giovanile all’informazione, dall’economia ai rapporti tra stato e chiesa.
I giovani e l’incerto futuro dell’Italia
In mano ai giovani è la sorte del paese, eppure loro rappresentano la categoria più snobbata dagli imperanti padri e baby boomers. La totale indifferenza nei confronti del futuro da parte di chi si concentra sul “qui e ora” fa sì che l’Italia sia uno dei paesi con la minore mobilità sociale, ovvero la capacità da parte degli individui di passare da uno status sociale all’altro attraverso un mix virtuoso di istruzione e lavoro fondato idealmente sulla meritocrazia. Con la forza dei dati statistici l’Ocse mette tutti gli abitanti del Belpaese di fronte ad una sconsolante verità: la vischiosità sociale è tale da garantire una sorta di ereditarietà dello stipendio. Vale a dire che difficilmente il figlio di un operaio potrà ambire a posizioni di prestigio nel lavoro, al contrario di un coetaneo che ha un genitore laureato. Da questa perpetuazione di caste sociali e professionali tipicamente italiana ne consegue una vera e propria invidia sociale. Gli esempi per i giovani latitano ancor più delle loro possibilità di crescita: una maggioranza di vecchi, incapaci di cedere il passo ai giovani, ritenendoli piuttosto una proprietà e fornendo modelli di comportamento inadeguati. Non è casuale che la povertà sociale e culturale abbia reso la cocaina non solo un bene per ricchi e potenti, come qualche anno fa, ma ricercatissimo da fasce di popolazione sempre più giovane. Tale fenomeno costituisce il segnale di una situazione più che difficile: «Guardiamoli/guardiamoci senza ipocrisia: automobilisti cocainomani che raccattano in massa, in senso strettissimo ma anche simbolico, l’eredità degli industriali del settore che per decadi si sono consumati il naso. E tutti lo sapevano e nessuno poteva dirlo o scriverlo. Lo fanno i loro ‘eredi’, e senza pudore, lo fa purtroppo anche una porzione dilatata di popolazione che tenta così di riempire una voragine che ci riguarda tutti».
La stampa italiana e la novità del Fatto quotidiano
Il sistema dell’informazione in Italia non riesce affatto a risollevare gli umori degli italiani, per ora in caduta libera. Parte dei quotidiani nazionali, come osserva Oliviero Beha, ancor più che alla politica sono legati ad una casta o un gruppo finanziario che fa capo a poteri forti della politica, ma anche e soprattutto dell’industria. Ad affermarsi su presupposti differenti è il Fatto quotidiano, che ha in forze non solo l’autore del libro, ma anche Antonio Padellaro e il notissimo Marco Travaglio.
L’intento originario della fondazione nel 2009 – sta al lettore giudicarne l’effettiva messa in atto – è scovare e raccontare tutte le notizie di pubblico interesse senza convenienze di parte, ovvero sul versante politico, economico o finanziario. L’ispirazione arriva dal genere giornalistico dell’inchiesta, che vive un periodo di crisi non solo per i costi economici che comporta, ma anche per la diminuita tolleranza nei suoi confronti. Non a caso si propongono limitazioni alle intercettazioni con il disegno di legge bavaglio e l’utilizzo dello strumento della diffamazione. Non solo danni subiti dalla persona diffamata, ma anche «l’uso intimidatorio che il potere sempre più spesso ne fa minacciando e querelando per dissuadere a priori dall’informare su di esso e sui suoi frequentissimi reati. Il potere, i potenti, la classe dirigente usa la legge (legittimamente) per impedire che si racconti come essa la viola. Il corto circuito è pressoché ultimato e il fusibile siamo noi lettori/cittadini/elettori».
Sconsolante scenario di un’informazione forse deviata o quantomeno a metà.
Paola Zagami
Elisa Guglielmi, Ilenia Marrapodi