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Problemi e riflessioni (a cura di Francesca Rinaldi) . Anno V, n. 41, gennaio 2011

Zoom immagine Se il diritto al lavoro
pregiudica il diritto
alla salute: la storia
della città di Taranto

di Paola Zagami
Un viaggio nel territorio più inquinato
d’Europa, per edizioni Ambiente


Le grandi contraddizioni del mondo odierno farebbero inorridire la mente ingenua ma lucida di qualsiasi bambino. Egli si chiederebbe con grande sorpresa perché i suoi coetanei che popolano un’altra parte del mondo soffrano la fame o perché alcune popolazioni si uccidano fino a decimarsi per manciate di denaro o semplici idee. Ma senza allargare troppo la prospettiva, qualsiasi individuo può provare ancor più sdegno per ciò che riesce ancora a sopportare un’Italietta sempre più annoiata al solo pensiero di occuparsi di qualcosa diverso dal proprio orticello davanti casa.

E la mediocrità in cui versa tutto il paese, non solo per colpa delle poco talentuose classi dirigenti, si misura anche dallo scarso interesse per l’ecologia e per tutte le politiche volte a migliorare le condizioni ambientali. Non soltanto periodicamente si presenta la possibilità del nucleare come grande risorsa per l’Italia, ma quotidianamente si rivela inadeguata la modalità di smaltimento dei rifiuti. Ma le insufficienze della politica per la tutela ambientale non si fermano qui. Tra i casi più scandalosi si posiziona senza dubbio quello di Taranto, la città più inquinata d’Europa per emissioni industriali. A parlarne con puntuali informazioni è l’inviato del Corriere della sera, Carlo Vulpio, autore de La città delle nuvole (edizioni Ambiente, pp. 160, € 14,00). Il testo, un approfondimento sul grave inquinamento che affligge i tarantini, fa parte della collana Verdenero dedicata alle inchieste.

 

Il ricatto del lavoro vince sulla salute

La paradossale situazione in cui versa la città di Taranto è determinata dalla sua principale fonte di occupazione: lo stabilimento siderurgico dell’Ilva. Presente dal 1961, costituiva motivo di vanto della città, in quanto caso unico di realtà produttiva nel Sud Italia. Un impiego nell’acciaieria era meglio di un qualsiasi posto statale, grazie anche al lauto stipendio e alla disponibilità di confortevoli case, attigue allo stabilimento nel quartiere Tamburi. Proprio questa zona, a dir poco letale per le emissioni di polveri, ha visto anno dopo anno i decessi dei suoi abitanti per cancro ai polmoni o leucemie. Nessuna sorpresa ma solo rammarico, visti i dati che recentemente sono emersi. A Taranto si produce il 92 per cento della diossina italiana e addirittura l’8,8 per cento di quella europea. Ma a scandalizzare è l’inerzia dell’Italia, che al limite legale di emissione di diossina vigente in Europa (0,4 nanogrammi) contrappone quello di ben 100 nanogrammi. E a proposito degli interventi della politica, si registrano negli anni dei rimpalli tra destra e sinistra, sempre troppo intimorite da un’eventuale presa di posizione forte. Associazioni cittadine e ambientaliste chiedono, infatti, solo un cambiamento: lo smantellamento degli stabilimenti per porre fine all’inquinamento della città. A rafforzare questo proposito è la possibilità che fuoriesca anche radioattività dai camini di diossina come hanno spiegato le associazioni di Taranto in una lettera aperta del 2008. L’appello è ai politici: «Giocatevi la carta della solidarietà umana. Avvicinatevi alle mamme, ai malati, a chi teme per la propria salute, guardate negli occhi la gente e mettete da parte ogni intento competitivo che non sia quello di agire per aiutarla. Agite subito al massimo delle vostre capacità esercitando al meglio il vostro potere. De Gasperi disse: “Il politico pensa alle prossime elezioni, lo statista alle future generazioni”».

 

Vivere e morire a Taranto

Naturalmente questo intervento è stato accuratamente evitato, ma il paradosso che governa la vicenda ha voluto non l’abbattimento delle macchine inquinanti ma degli esseri viventi. Risale al 2008 la soppressione di cinquecento pecore, un intero allevamento, nella masseria di Angelo Fornaro a Statte, a pochi chilometri da Taranto. Animali innocenti e inermi di fronte alla contaminazione da diossina, simulacro degli uomini morti che camminano per la città, intossicati inconsapevolmente. Ma l’autore non tace sulle storie di uomini e donne che hanno spesso barattato il diritto alla salute con quello al lavoro. Si va da Rosalinda, il cui latte materno contaminato dalla diossina è un potenziale veleno per il suo bambino, a Carmelo Ligorio che produceva formaggi e latte vicino alla città ed è morto di cancro. La vicenda più toccante è quella di Silvio, che a undici anni contrae un tumore da fumo, pur non avendo mai toccato in vita sua una sigaretta. Nel suo caso, fortunatamente a lieto fine, il cancro era stato trasmesso in eredità proprio dai genitori, adesso sostenitori della chiusura dell’Ilva.

Come avviene troppo spesso in Italia, nei decenni si procede a piccoli passi. Tra questi se ne segnala uno, merito del Comitato “Taranto futura” che propone un referendum cittadino sull’adeguamento dell’Ilva. Giudicato ammissibile dal Tar di Lecce, i cittadini potranno dunque scegliere tra la chiusura totale dello stabilimento (con la salvaguardia dei livelli occupazionali da impiegare in settori alternativi) oppure la chiusura parziale, ovvero dell’area di lavorazione a caldo.

La speranza è che i tarantini sappiano cosa vogliono per la propria città, per sé e per le generazioni future.

 

Paola Zagami

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno V, n.41, gennaio 2011)

Collaboratori di redazione:
Elisa Guglielmi, Ilenia Marrapodi
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