Società di prodotti editoriali, comunicazione e giornalismo.
Iscrizione al Roc n. 21969.
Registrazione presso il Tribunale di Cosenza
n. 817 del 22/11/2007.
Issn 2035-7370.
ANNO I, n° 0 - Agosto 2007
Una strana sinergia
tra scrittura narrativa
e scienza negli studi
dell’antropologia
di Clementina Gatto
Riflessioni sui molti punti di contatto
e sulle relazioni tra le due discipline
Qualsiasi indagine antropologica inizia sempre con una domanda: cos’è che fa di noi degli esseri umani? La risposta a questo quesito è stata tanto varia quanto lo sono stati i diversi approcci antropologici, proposti a partire dall’esordio della disciplina. Questo contributo, a cura di Domenico Scafoglio, raccoglie nell’antologia Antropologia e romanzo (Rubbettino, pp. 416, € 35,00) gli atti di un convegno promosso dalla cattedra di Antropologia culturale, che si è tenuto nel 1999 presso l’Università di Salerno con l’obiettivo di fornire alcuni spunti di riflessione sul rapporto tra il romanzo e l’antropologia. Tali riflessioni ci svelano come i confini finora stabiliti tra il testo letterario e quello scientifico non siano poi così invalicabili. L’antropologia, per via del suo statuto di disciplina, prende le distanze da qualsiasi modalità di indagine “non scientifica”, affidandosi a un metodo rigoroso; da ciò consegue la scelta di una scrittura fedele alle caratteristiche di oggettività di cui si fa portavoce, dunque conforme al registro linguistico consolidatosi tra gli specialisti. D’altro canto, gli stessi antropologi attingono a un ingente serbatoio, frutto di una fase pre-accademica: la cosiddetta letteratura paratestuale, fatta di appunti, note di campo, epistolari e diari, in cui il rigore linguistico cede il passo a uno stile immediato e alla riflessione individuale.
La tendenza, che si registra attualmente in antropologia e da cui prende le mosse il convegno, è quella di imparare dagli scrittori l’uso creativo della lingua, per arricchire il patrimonio espressivo della disciplina e svelarne il potenziale anche al di fuori dell’ambiente specialistico; contemporaneamente, poiché si riconosce la presenza della soggettività anche all’interno della scrittura accademica, si intende analizzarla per valutarne l’apporto qualitativo ad un settore che, di fatto, fa dell’espressione umana e dell’identità i suoi oggetti di studio.
Scrittura antropologica e creativa: possibile connubio?
La varietà dei contributi raccolti all’interno del volume trova il suo denominatore comune nell’analisi di alcuni elementi tipici della scrittura letteraria i quali, distinguendola tradizionalmente da quella accademica, ne rappresentano invece un luogo di intersezione e un potenziale di indagine reciproca.
Solo per citarne uno, l’antropologia teme l’immaginazione, ma non sono forse la produzione mentale dell’uomo, la sua manifestazione artistica, il suo vissuto, a caratterizzare le differenze tra gli esseri umani, contribuendo a darne una definizione? Ancora, il terrore dello studioso nei confronti della retorica, considerata «manipolazione arbitraria del linguaggio», non è forse ingiustificato, considerando che nessuna espressione linguistica – neanche quella scientifica – ne è immune?
La lingua, in sostanza, compenetra ogni altro sistema in seno alla cultura, perciò non può rappresentare un mondo indipendente, già dato. È invece anch’essa parte di quel mondo, nel senso che i ricordi sono inscritti in resoconti linguistici, storie, nomi, aneddoti e romanzi. Ecco perché ogni simbolo, ogni concetto “trasportato” tanto dal romanzo quanto dalla scrittura antropologica, è parte integrante della realtà che si ritiene rappresenti, interpreti e rievochi. In definitiva, qualunque produzione scritta, sia essa accademica o letteraria, porta con sé il punto di vista di chi scrive, che la influenza, anche involontariamente, ad un qualche livello, situandola in un contesto e, per ciò stesso, dandone un’interpretazione.
I parallelismi, dunque gli spunti di riflessione offerti, sono molteplici: dal resoconto di accademici che attingono alle riflessioni di romanzieri, definite antropologicamente rilevanti per il fatto di servirsi della «potenza del mezzo antichissimo del raccontare [...] o dell’arte della parola»; all’esperienza di altri che si spingono fino a farsi romanzieri essi stessi, perché «con le tecniche della narrazione letteraria si possono dire cose che altrimenti o non [si] potre[bbero] dire, o [si] dire[bbero] in molto più spazio e meno efficacemente, meno pienamente».
Soggettività vs oggettività: un metodo complementare
L’antologia si fa vetrina dell’attuale tendenza alla multidisciplinarità che, in un certo senso, è l’ibridazione di molti settori di studio; in quest’ottica, se ne rileva l’apporto positivo all’indagine sull’uomo. La varietà e la ricchezza degli interventi, infatti, sono ben articolate nelle diverse parti, trattando temi e riportando eventi che, se da un lato illustrano situazioni legate ad un contesto particolare, in realtà sono il punto di partenza di questioni che caratterizzano la natura umana in termini più generali.
A uno sguardo complessivo, infatti, emerge un uomo destinato alla socialità dalla sua stessa natura biologica, un uomo che, per dare senso alle sue esperienze, necessita di un ordine culturale, che è già dato e in cui si trova immerso fin dalla nascita. Tale ordine forma e condiziona i suoi comportamenti trasfigurandoli attraverso un sistema simbolico condivisibile solo metaforicamente, in virtù di rappresentazioni in cui le risorse narrative rivestono un ruolo privilegiato, in quanto trame culturalmente connotate che mettono in scena un sistema di valori e “guidano” la spontaneità dell’esperienza emotiva dell’autore.
In altri termini, la consueta dialettica tra punto di vista del soggetto osservato (emico) e punto di vista dell’osservatore (etico), concetti-guida dell’analisi antropologica, sembra sciogliersi in questo contributo che, piuttosto che una scelta tra la valorizzazione dei concetti e dei simboli della società studiata da un lato, e le capacità osservative, astrattive e generalizzanti dell’osservatore dall’altro, suggerisce la complementarità tra i due sistemi, secondo una prospettiva ampiamente discussa, negli ultimi anni, dall’antropologia di ispirazione interpretativa.
Clementina Gatto